La prima cosa che mi viene in mente è che tutto giri intorno a un gruppo di amici. La battaglia contro Shylock è quella di un gruppetto di ‘uguali’ contro un singolo ‘diverso’. Roba che sa di paese. Di vecchia Italia allegrona, sazia e ignorante. Di Vitelloni, insomma.

Gli eroi di questa storia non sono degli eroi. Stanno in seconda e terza fila nella vita. La guardano ( e la commentano ) dal tavolino di un bar. Visti così, i rappresentanti tipici dei Vitelloni sono soprattutto Salerio e Solanio. Sembrano due chiacchieroni innocui, due pettegoli. Due ricchi sfaccendati , che si divertono molto ad essere ricchi e sfaccendati, ben identificati col loro ‘clan’ che è composto solo da ricchi e sfaccendati. La loro ricchezza ‘da paese’ è un modo antico d’esser ricchi – è stanziale , abitudinaria, perfino allegra, da aperitivo. Mentre ,a voler fare paragoni, quella moderna viene dalla città, è inquieta e ferita, e sa di cattiveria . Si può anche aggiungere che l’agiatezza di Salerio e Solanio permette loro una certa calma rispetto agli accadimenti, e genera quel tipo contagioso di superficialità che si chiama (anche ) disincanto. Non me la sento di dire che sono cinici, infatti. Sono troppo simpatici per esserlo. Usando un linguaggio più vicino alla sensibilità di chi scrive, dirò infine che sono due pirla. (A volte appaiono così indistinguibili, che ho avuto il sospetto fossero fratelli: quei fratelli ‘sempreinsieme’ che ho incontrato talvolta e che sempre mi hanno impressionato, dandomi davvero l’impressione di essere in due a fare una sola persona . Ciò non deve far pensare che siano uguali. I fratelli semprinsieme , infatti, sanno mettere a frutto le loro differenze per comporre al meglio un’identità singola, che come si sa, è doppia , se non multipla.)

A volte ho pensato che fossero fidanzati . Quello dell’amore tra maschietti è un argomento presente nel Mercante . Vedremo.

Poi ci sono certo anche Bassanio Graziano e Lorenzo, ma questi , a differenza dei primi due, sembrano avere anche qualcos’altro da fare oltre a stare al ‘bar’ a perder tempo in allegre chiacchiere. Hanno delle inquietudini. Dei sogni. Delle canaglierie. Hanno dentro una spinta che li porta al gesto rischioso, all’avventura. Il fatto che siano sempre avventure condivise con gli amici, fa di loro degli eroi ‘di paese’, creatori di aneddoti, più che di leggende. Forse tutto viene sempre fatto per noia. Ma questo forse è un pensiero che li proietterebbe verso vette intellettuali alla Baudelaire, assolutamente improprie. Allora si può dire così : forse tutto viene fatto anche per ridere. Un ridere pagàno. Da commedia antica, senza colpe. La legge della loro vita è fare della vita un gioco fatuo ( strano accostamento di parole che richiama ‘fuoco fatuo’, ma non l’ho fatto apposta). Nel momento in cui tale legge è condivisa, diventa identificante. Al punto da escludere chi è diverso , come per es. Shylock, che con tutta la sua serietà antica sembra minacciare una società di fatui giocatori.

È una vita allegra e serena, di ricchi amici.

Poi arriva Shylock e la rovina.

Per un po’.

Poi tutto torna come prima.

(Tranne che per Shylock.)

Quasi tutte le scene dei ricchi veneziani a Venezia saranno ambientate al tavolino di un cafè, con tanto di elegante cameriere che si aggira servizievole attorno a loro. Immagino che si trovi in un angoletto di Pza San Marco. Forse il Florian, come poteva essere nella Belle Epoque.

Antonio? Chi è, in mezzo a loro? Partiamo dalle evidenze, dai ‘sintomi’. È uno che si annoia, che sta male con se stesso. Che soffre di quella accidiosa malinconia che Girard dice che affligge le società ‘sazie’ e lontane dalla spiritualità o dalla verità. Dato che Antonio è un’anima sensibile, egli sente il morso della malinconia. Anche Auden dice qualcosa di simile, trascrivo: ‘’I gentili Veneziani sono frivoli, ed è innegabile che , come tutte le persone frivole, sono anche un po’ tristi’’.

Altre letture della malinconia di Antonio hanno fatto pensare a molti (anche a me) che ci fosse un vero e proprio sentimento d’amore per Bassanio. Un amore disperato e – almeno in parte- segreto. È molto probabile. Ma non sono più tanto sicuro che si debba renderlo evidente, e farne un ‘tema tracciante’. Credo che Antonio sia un personaggio complesso, e che forse c’è anche la possibilità di attribuirgli un amore fisico per Bassanio. Ma la sua complessità merita una maggiore articolazione. Poi, si vedrà. Inutile e dannoso mettere, da subito, in mano al regista un’arma potente come questa: vorrà solo divertirsi a raccontare controfavole. Cosa sono le controfavole? Sono storie che fan ridere solo i grandi. Noi dobbiamo fare di questo Mercante una storia che possa essere capita e apprezzata anche a dei bambini. Anzi: noi dobbiamo fare del mercante una favola, punto e basta.

A proposito dell’ambigua malinconia di Antonio, faccio parlare Girard : ‘’… è tipico dei veneziani il fatto di apparire come l’immagine stessa del disinteresse nell’istante preciso in cui grazie ai loro calcoli astuti mettono le mani sulla pentola piena d’oro. (…) La generosità rende il beneficiario più dipendente dal suo generoso benefattore che non presta a usura. A Venezia prevale una nuova forma di vassallaggio (…) fondata su vaghi accordi finanziari. In mancanza di conti esatti l’obbligo personale del debitore aumenta all’infinito. È chiaro che Shylock non padroneggia quest’arte dell’asservimento paradossale. ( persino la figlia si sente perfettamente libera di spogliarlo dei suoi beni e abbandonarlo senza alcun rimorso ). L’eleganza degli arredi e l’armonia della musica non devono portarci a pensare che tutto vada bene nel mondo veneziano. E d’altra parte è impossibile dire che cosa esattamente non funzioni. Antonio è triste, ma non sa dire il perché, e questa inspiegabile tristezza sembra caratterizzare, come lui, l’intera aristocrazia finanziaria veneziana.’’

Per quel che MI riguarda, non è una storia sul razzismo antisemita, ma sulla persecuzione della diversità.

Mi trovo dunque completamente d’accordo con Auden quando dice : ‘’ Nel mercante di Venezia le differenze religiose sono tratteggiate in modo fatuo: non è un problema di fede, ma di conformismo. L’essenziale, riguardo a Shylock, non è che un eretico o un ebreo, ma che è un outsider ‘’

Outsider, qui, vuol dire qualcosa di più di diverso. Quasi straniero. Estraneo.

A mio parere l’unico ad essere ‘culturalmente’ razzista, è forse Antonio. Politicamente razzista. Il ‘buon’ Antonio è un vero antisemita. Anche Shylock ha parole razziste verso i cristiani, ma sembrano ispirate a brutte esperienze subite, personali, e di clan. È un razzismo reattivo, il suo. È una vendetta covata, in cambio di dolori subiti. Con questo non dico che non sia razzista, ma lo è in modo diverso da Antonio. Mi pare interessante rilevare che (almeno per me) questo testo così noto per essere un testo ’sul’ razzismo, veda come unici esponenti della categoria i due che sono più implicati nelle conseguenze di esso, le sue vittime : il ‘buon’ Antonio ( che si rivela a conti fatti un persecutore, poi perseguitato ) e il ‘cattivo’ Shylock ( al quale non si può non dare -almeno per gran parte della vicenda – un ruolo da perseguitato, e alla fine da persecutore) . I due razzisti si scannano tra di loro, insomma.

C’è un terzo tipo di razzismo, ed è quello di Graziano. È il razzismo ignorante, superficiale. Non saprebbe neppure di averlo, se Shylock non gli desso motivo di tirarlo fuori. E’ di quelli che dicono – Io non sono razzista, sono i neri che sono tutti spacciatori… – . E’ di quelli che non sanno nemmeno di esserlo, fino a che non hanno un incontro ravvicinato col ‘diverso’. Il diverso minaccia la sua quiete, e la sua idea del mondo, nella quale si è totalmente identificato. Il diverso viene a negare quell’idea. A proporne un’altra. Quindi, lo minaccia.

A dispetto di quel che si dice, la religione va tenuta in secondo piano in questa storia. Le faccende relative alla rappresentazione degli ebrei, coi loro costumi , modi ecc, se le immagino a far da sfondo ne Il Mercante di Venezia, non mi danno alcuna emozione. Anzi, mi irritano.   Dobbiamo raccontare – e rivivere- questa storia senza lasciarci affascinare troppo dai facili temi che a un primo sguardo ci sembrano importanti : le questioni ebraiche con tutti gli annessi e connessi antichi e moderni, e le questioni religiose. Considerato da un punto di vista religioso, questo testo sarebbe blasfemo e basta, sia da una parte che dall’altra.

Però un aspetto che riguarda La religione, c’’è. Ed è utile comprenderlo. Esso non investe i rapporti dell’individuo con l’aldilà, ma con l’aldiqua. In accordo con Auden mi pare che l’Antico Testamento ispiri un modo antico di approcciare la vita . È solo questione di stile. Shylock ha uno stile antico. Ha uno stile ‘serio’, da antico testamento, appunto. Ha dei ‘modi’ antichi, che possono anche affascinare gli spettatori, ma non certo sua figlia Jessica, che essendo probabilmente nata a Venezia ha respirato una visione del mondo, e uno stile quindi, più giocoso e disinvolto. Il cristianesimo è forse giocoso e disinvolto? O è giocosa e disinvolta quella parte di società Veneziana rappresentata da Bassanio, Salerio , & c.o , la quale, per puro accidente geografico, si dice cristiana? Insomma mi pare che Bassanio , Lorenzo ,ecc, rappresentino Cristo così come Shylock rappresenta Abramo. Cioè : per niente. Sono solo individui appartenenti a clan diversi, opposti. Con maniere e stili diversi di immaginare la vita. Auden dice ‘’ Shylock è troppo serio. Non che sia più avido degli altri veneziani – anche loro cercano scopertamente il profitto- ma è più possessivo. (…) Shylock è un outsider perché è l’unico personaggio serio del Mercante . Anche se la sua serietà si esercita magari sulle cose sbagliate, sull’acquisizione di proprietà – dato che la proprietà è essa stessa una cosa fatua . Sul versante opposto, tuttavia, abbiamo una società che è fatua perché per appartenervi occorrono determinate prerogative : bellezza, grazia, vivacità, ricchezza. ‘’

Auden conclude la sua lezione sul Mercante di Venezia con queste troppo audaci parole : ‘’Io sono lieto che Shakespeare abbia fatto di Shylock un ebreo. Qual è la radice dell’antisemitismo? Agli occhi del Gentile, l’Ebreo incarna la serietà, ed è questo che gli rimproveriamo, perché noi amiamo essere fatui e non vogliamo che qualcuno ci ricordi che esistono anche cose serie. Con la loro esistenza – ed è giusto che sia così – gli ebrei ci rammentano questa serietà, ed ecco perché desideriamo il loro annientamento ‘’.

Cambiamo discorso, e torniamo a Renèe Girard , che ci dice alcune parole che condivido pienamente sulla somiglianza paradossale che ci deve essere tra i due nemici principali : Antonio e Shylock. Antonio nelle prime scene con Shylock si presenta come un ‘Chissachì ‘. Poi la sua caduta in rovina lo trasformerà in un individuo molto umiliato. Dato che anche Shylock, pur nella sua ricchezza, è un poveraccio, che veste e vive da poveraccio antico, proprio perché è antico oltreché avaro, quando anche Antonio arriva al suo ‘niente’, la sua somiglianza con Shylock sarà quasi totale. Entrambi assomiglieranno alla triste maschera sordiana del Borghese Piccolo Piccolo. Sono ugualmente stupefatti dinnanzi all’odio, al dolore, e alla rovina.  Non sarà dunque un caso quando Porzi, che non li conosce, entrando in tribunale dirà: “Chi è l’Ebreo ?”

E’ un testo sulla ricchezza, e insieme sullo spettro della rovina, che incombe. C’è qualcosa in Antonio che cerca la rovina.C’è qualcosa nel mondo ricco che – sempre – cerca la rovina. Di sicuro, la crea. La rovina degli uni genera la ricchezza degli altri. La rovina è l’ombra che segue la ricchezza. Il Mercante, allora, è anche un testo sulla povertà. Non si vede mai. Ma è lì. In agguato. Come se fosse l’incubo ricorrente di tutti. Inconfessato.

La sorprendente simpatia di Shylock è importante, perché è grazie a questa che Antonio decide di farsi irretire nel contratto. È disposto a scommettere sulla bontà dell’ebreo ( ciò non lo fa arretrare di un passo nel suo razzismo: infatti nell’ ammettere che l’ebreo è meglio di quel che pensava, dirà – ‘Vedrai che si farà cristiano! ‘).

Questi uomini veneziani sono tutti avventurieri. Giocatori. Hanno continuamente bisogno di mettere in gioco i loro dadi. In realtà è un testo sul Gioco d’Azzardo! (le scene di porzia e dei tre scrigni sono una specie di roulette fatale, non meno tremenda della scommessa di Antonio sul proprio mezzo chilo di carne, perché i giocatori scommettono sul loro destino e sulla possibilità di amare un’altra volta.)

Si parla qua e là nei testi critici dello stridente eppur suggestivo accostamento dei due ‘plot’ : quello realistico di Venezia, e quello fiabesco di Belmonte. Ma questo accostamento non ci rivela forse che il ‘realismo’ della storia dell’usuraio e del mercante è molto meno realistico di quel che sembra? Sì. Io penso questo : sono due favole.

In un mondo perfetto di amici che si rifugiano nel loro ‘clan’, e che ci ricordano sia i Vitelloni che Signori e Signore ( i primi per simpatia – che Shakespeare infonde a tutti, sempre – , i secondi per squallore provinciale , vitalistico e sconsiderato ), l’irruzione di uno come Shylock è una intossicazione. Li spaventa. Li fa anche ridere , ma li inquieta. Non serve che Shylock sia caratterizzato in modo cupo, per infondere loro una inspiegabile cupezza. È la paura dell’estraneo che la genera. Shylock non è un estraneo debole ( tipo i vucumprà dei primi tempi, che sembravano innocui poveracci prima che le migrazioni li trasformassero in minacciosi ‘invasori’ ). È un estraneo dominante. Perché è ricco.   Lo è almeno quanto loro. Ma non è parte di loro. Hanno una continua tentazione di deriderlo. Ma si devono controllare un po’. Non sopportano la sua presenza, perché non sopportano alcuna inquietudine, né alcun mutamento delle loro abitudini culturali.

L’odio di Shylock per Antonio è di tipo professionale. Il secondo ha più volte danneggiato e quasi rovinato il primo. È un avversario in affari. Inoltre è un arrogante razzista. L’odio di Shylock per Antonio è giusto e sacrosanto.

Tempo fa ho scritto delle note, mentre ancora ero molto incerto se fare o no la regia di questo testo, ed ero reduce da una prima lettura . Le trascrivo qui di sotto, perché le prime impressioni sono in gran parte inutili e sbagliate, ma in piccola parte no. Fiducioso nella piccola parte, eccole : ‘’ Appena ci si imbatte nel Mercante di Venezia si prova – oltre alla gioia di leggerlo – anche un certo cupo disagio. La nostra immaginazione si affatica a trovare un filo coerente e rassicurante , e ci scopriamo a cercare di dare un’identità plausibile e credibile a quegli strani personaggi che stiamo incontrando. Cerchiamo di identificarci con qualcuno. Ma, devo essere sincero, con scarso successo. Il filo narrativo resta assai poco rassicurante, e i personaggi non smettono di inquietarci e di rimanerci estranei. E tuttavia sentiamo che abbiamo a che fare con una grande opera, pena di vita . Decidere di portare in scena Il Mercante vuol dire decidere di fidarsi ( scommetterci su, quindi ) di quel vago e oscuro sentire, e seguirlo. Dove ci porterà, andremo. Il testo ci appare semplice e schematico come un’antica favola. Dovremo inoltrarci nelle molte zone oscure ( le antiche favole sono luminose e oscure insieme ) che risultano assai più chiare per il nostro istinto che non per la nostra capacità di comprendere. Il mercante, inoltre , è il risultato dell’unione di due antiche favole. Nelle antiche favole tutto è ugualmente creato con il buio dell’inconscio simbolico, e con la luce delle cose e dei fatti reali. Le antiche favole sono di terra e di aria. Inoltre, nonostante tutto, le antiche favole sembrano tracciare una strada attraverso l’impossibile. La Tempesta, per esempio, è un’antica favola. Per noi uomini contemporanei le antiche favole sono una mappa celeste per trovare , ogni tanto, qualche stella nel buio dell’assurdo vivere. Ma , in questo senso, il Mercante sembra che spinga altrove. Verso uno stranio buio collettivo. Pur essendo in tutto e per tutto un’antica favola, non sembra tracciare alcuna strada. Il disagio che sentiamo forse è proprio questo : sentiamo che veniamo attratti dentro lo splendore di una favola arcaica piena di vibrazioni oniriche e di significati, ma dopo un po’ ci ritroviamo senza un senso profondo vero e proprio, e l’opera, coi suoi toni barocchi e festosi ,ci appare – soprattutto verso il finale – come la festa dell’insensatezza. A volta mi pare di capire il perché. E’ un perché sbagliato, di parte, lo so, ma lo scrivo lo stesso perché forse potrà generare qualche pensiero giusto, utile a comprendere. E’ questo : perché il Mercante parla soprattutto di denaro. Questo è il tema principale. E in questo nostro periodo storico non è più un argomento ‘normale’. Sentiamo che c’è qualcosa di abnorme e di vertiginoso – oggi – nel pensiero del denaro. E l’affaticarsi degli uomini contemporanei per escogitare maniere per accumulare, governare, amare e odiare, reinventare il denaro, sembra arrivato a un punto tragico. Cioè insensato e mostruoso. Dentro il Mercante c’è dunque un mostro. Ma non è Shylock. E’ il denaro. Qualcuno, leggo, è ancora convinto che ci siano dei temi religiosi nel Mercante. Non voglio essere così irriverente da dire che non ce ne sono, ma credo che siano molto meno importanti di quel che sembra. Dio mi pare molto estraneo a questa faccenda (ammesso che ce ne sia qualcuna in cui non lo sia.. ). Credo che sia un dramma di amici ‘cristiani’, che si oppone a un ‘ebreo’. ( Sono così diffidente verso le questioni razziali, che non riesco nemmeno a scrivere le parole ‘cristiani’ ed ‘ebrei’ senza usare le virgolette, come se fossero parole infide) . Tra i due clan scorgiamo una differenza , però. I ‘cristiani’ sono tanti, mentre il clan ‘ebraico’ è rappresentato da un solo individuo. Insomma , il primo è un clan reale, l’altro ideale. Quindi, a canti fatti, siamo davanti alla lotta di tutti contro uno. E poi di uno contro tutti. Il diverso contro gli uguali. Ormai siamo troppo abituati alle storie dove chi è solo contro tutti, dopo un po’ di peripezie e di dolori, vince. O vince veramente (come Ulisse) , o moralmente (come Cristo, e perfino King Kong). È un’abitudine che ha modellato la nostra psicologia senza contrasto dai tempi dell’Odissea fino ai western. La terribile, umiliante, meschina sconfitta di Shylock – giusta o non giusta che sia – mi mette a disagio. Annuncio fin d’ora che, se mai farò questo spettacolo, starò dalla sua parte. ‘’

Nel mercante di Venezia nessuno esita. Hanno tutti un gran bisogno di mettere in gioco i loro dadi. Pensano e agiscono con velocità fulminea, senza se e senza ma, senza ‘dunque’. Ci sono una serie impressionante di decisioni fatali nel Mercante : Bassanio decide di giocarsi tutto con Porzia e i suoi scrigni; Antonio decide di aiutarlo; altri decidono di imbarcarsi con lui all’ultimo minuto;Jessica decide di fuggire; Lorenzo di sposarla;alcuni pretendenti di Porzia decidono di abbandonare il gioco; altri come Marocco e Aragona decidono di tentare la sorte;Shylock decide di concedere il prestito; poi decide di esigere il pagamento della penale;Lancillotto decide di licenziarsi; Bassanio decide per il piombo ( così come gli altri per l’oro e l’argento ); Porzia e Nerissa decidono di travestirsi ; Nerissa e graziano decidono di sposarsi; ecc. tutte decisioni fatali, prese in pochi secondi.

Salerio e Solanio sembrano diversi. Non prendono decisioni. Che storia (personale) raccontano?

Durante un viaggio mi ero portato due libri ‘a caso’, per leggere qualcosa mentre mi riposavo dal lavoro sul Mercante. A riprova che ‘a caso’ non esiste – come diceva sempre Geraldine – mi sono ritrovato in valigia l’Odissea, e il Satyricon. E da subito questi libri hanno voluto entrare nell’immaginario guida del Mercante. Ho sentito che a rendere inquieti i mercanti veneziani , e forse anche a rendere triste Antonio, è lo spirito di Ulisse. E che lo spirito del bighellonaggio inconcludente per le strade di una società sazia in rovina , tipico dei protagonisti di Satyricon, è nell’indole di Solanio e Salerio. Sono figli di quell’indolenza cinica, pettegola, libera e divertita dei personaggi del Satyricon. Alla lontana, certo. Come alla lontana si agita il demone di Ulisse nel cuore dei mercanti. Ma è qualcosa. Una traccia. Un sentiero.

Alcune considerazioni sulle scene finali. La storia in apparenza burlesca dell’anello regalato è una ferita seria per Nerissa e Porzia. Queste due donne hanno coi giuramenti un rapporto speciale. Molto serio. La parola giuramento ricorre decine di volte nelle battute di Porzia, la sua idea è che un giuramento impegna in modo fatale, ineludibile, eterno. Ne sanno qualcosa anche gli sventurati pretendenti. Bassanio e company mostrano un rapporto più disinvolto ( più fatuo, quindi ) con il giuramento. Hanno una visione delle leggi del mondo assai relativa. Questa scoperta sconvolge Porzia. Forse la disillude, la ridesta da un sogno. La rende adulta. Deve anche arrendersi all’evidenza che tra Antonio e Bassanio c’è un rapporto privilegiato. Antonio possiede Bassanio , più di lei. A lui – e non a lei – Bassanio giurerà di non tradire mai più un giuramento. Nulla è definitivo come si vorrebbe. Nulla è come sembra. Nulla è fermo. Tutto si muove e cambia.

Poco prima Porzia aveva scoperto qualcosa di simile sulla bellezza. Sentendo una musica si è accorta che di notte pareva più bella che di giorno. Nerissa le fa notare che il silenzio della notte sta ‘cambiando’ la musica e la rende più bella.

La musica è il ‘bene’. Ma anche il bene si muove. Cambia.

Per le streghe di Macbeth il bello E’ brutto, e il brutto E’ bello. Quindi sono sempre opposti, separati. ( pur abbracciati)

Per padre Lorenzo Bello e Brutto ( male e bene) sono uniti e confusi, e solo la filosofia può distinguerli e separarli.

Nel Merchant, nel suo finale, l’intuizione malinconica di Porzia e Nerissa ci dice che il bello e il brutto, il male e il bene dipendono dalle circostanze. Si spostano continuamente. Così come si spostava il bene nel monologo di Lancillotto con la sua coscienza. O il titolo di Daniele nel processo.

Il bene e il male si spostano di continuo nel corso della piece. Ora Shylock è il buono. Ora è il cattivo. Ora Antonio è il male, ora il bene. Dipende dalle circostanze. Come la giustizia. La giustizia è il male, e poi è il bene.

È una verità moderna e inattaccabile. È il morale della favola. La sua verità. La verità di una favola che rivela che non c’è nessuna verità.

La luna si ritira. Il giorno stenta ad apparire. Non è né notte né giorno in questa fine di favola. Le favole che vanno a rovescio fan ridere solo chi si crede maestro.