Note di regia

Il teatro di Ionesco è una specie di mondo rovesciato. Tutto quel che ci entra dentro, si capovolge, come il salto di un pagliaccio. Dato che l’Assurdo (alla cui “scoperta” nel campo della letteratura Ionesco deve la sua fortuna) è il tema filosofico di tutte le sue pièce, anche la filosofia si trasforma in materia per buffoni. È un giullare, Ionesco, che prende in giro il suo Re. Il suo Re, è il teatro. Nelle sue commedie si sente che lo odia e lo ama. […] Credo che la definizione Teatro dell’Assurdo sia stata inventata apposta per lui. Forse per attenuare ipocritamente il peso dell’assurdità di vivere, etichettandola come fosse uno stile… Perché è un peso ben difficile da portare, se lo si prende sul serio. Qualcuno (credo fosse Camus ) ha detto: l’assurdo ha senso solo se gli si nega consenso. Dando troppo consenso al gusto giullaresco dell’assurdo per l’assurdo, i teatranti dell’epoca passata hanno sfogato tutto quel che c’era dentro l’odio di Ionesco per caro vecchio teatro. Un odio vestito da pagliaccio. Bene. Dato però che quell’approccio mi pare molto arido, per una volta dovrò dire che sono contento di appartenere invece a questa epoca, almeno per quel che riguarda il mio rapporto con Ionesco. In un’epoca come la nostra, infatti, che assiste alla progressiva scomparsa del teatro – e di conseguenza, se si vuol dare ragione a Shelley, anche della società civile – l’assurdo di Ionesco apre per me inattesi varchi di poesia, e sembra vibrare di una qualche nostalgia per l’umanità. E allora prendiamo coraggio, e diciamo che è arrivato il tempo di portare in scena anche l’altro lato del suo sentimento verso il teatro: l’amore. Non credo che ci porterà fuori strada: a ben vedere l’amore è un sentimento ben più assurdo dell’odio. Come si fa? In questo momento – che è una tranquilla sera di settembre, e sono ancora molto lontano dalle prove – posso solo dire che per prima cosa vorrei cercare di negare consenso alla sua risaputa Teatralità dell’Assurdo, e restituirlo a qualcosa che – del tutto ingenuamente – io vorrei chiamare vita. Vorrei che i suoi personaggi sembrassero persone strette nella morsa di relazioni assurde, piuttosto che assurde marionette strette nella morse della plausibilità. Voglio che sia prima di tutto una storia umana. Piena di stranezze affascinanti, di suspance e di comicità. Voglio crederci, a tutto quell’assurdo. Voglio dire che è anche il mio, e che è anche il tuo. Certo, credo che se ci riusciremo ci sarà molto da ridere, e forse (dico forse) anche un po’da piangere. Ed ecco, allora, che sto rivelando il mio segreto intento di regista: fare di questo testo un dramma del caro vecchio, e ormai quasi scomparso Teatro. C’è qualcosa di più assurdo che si possa chiedere a un testo di Ionesco? No. Mi avventuro in questa ricerca sapendo che c’è molta verità e molta allegria genuina, che traspaiono continuamente ne La Lezione, e, a dispetto della sfacciata stravaganza dell’autore, perfino una poesia “arresa”nei confronti dell’umanità. Se noi riusciremo a renderla visibile, avremo la possibilità di fare una grande esperienza di teatro di Attori. Che è il più bello che ci sia. Non è una speranza da poco.
Dedico questo nostro viaggio nel mondo rovesciato de La Lezione alla vera assurdità della nostra epoca: alla speranza.

Valerio Binasco