26 settembre

E’ mercoledì, sta per piovere, sono a Bologna. La casa che mi ha dato il Teatro Stabile è povera, vecchia, buia. E mi piace. Ha qualcosa di tutte le casebrutte in cui ho vissuto. La sensazione è quella di una tana, di un nascondiglio dove il silenzio diventa un urlo , miei nervi stanno in agguato, mi sento nascosto, pronto a saltare addosso alla vita. A farmi saltare addosso da lei. C’è concentrazione assoluta. Ci sei solo tu, e il lavoro. L’unica via di fuga possibile è nell’opera che si sta creando.

Marescotti è un grandissimo attore. Di conseguenza il mio lavoro, per ora, consiste nel togliere tutto, a lui e a me.
Cioè tutti gli appoggi ‘comodi’ di uno spettacolo.
Perfino gli oggetti.
Gli chiederò presto di ‘mimare’ delle azioni con oggetti e relazionarsi con un mobilio inesistente.
Insomma con lui ho deciso di spingere ancora un po’ più in là la mia ricerca di un teatro tradizionale (di parola, si diceva anni fa) che si svolga però nel gesto minimo dell’attorialità pura: niente in scena, tutto nell’azione dell’attore e nell’immaginazione condivisa.
Quasi un istrionismo della sottrazione.
Il problema del Teatro Povero, e del suo amichetto prediletto Lo Spazio Vuoto, è che si è sempre espresso nella severità culturale, nell’austera denuncia, e nel compiacimento ideologico della povertà.
Peter Brook a parte, io non ho mai visto la leggerezza, in quegli spettacoli.
Bene, eccomi qua a provarci.
Proverò ad applicare l’arte del vuoto-giocoso (e dunque del mimo – se si vuole dargli un nome illustre – oppure dell’immaginario-agìto, se si vuole essere più fedeli al concetto) a un testo ‘normale’, con un attore famoso che recita in un luogo sontuoso , borghese e ‘normale’ come il palcoscenico dello Stabile di Bologna.
Il direttore ogni tanto si affaccia alle prove, e fa una faccia anonima che io decifro come perplessa. Ma chi lo sa? Stanotte ho sognato che mi volevano cacciare, per la troppa inconsistenza delle mie idee. Se faccio sogni simili, vuol dire che ho paura. Sto adottando un linguaggio scenico leggerissimo, sottile come un ricordo, quassi evanescente, per fare uno spettacolo ‘normale’ , capace di far ridere e piangere il pubblico ‘normale’, che dei problemi culturali e formali del teatro giustamente se ne sbatte.

Voglio fare uno spettacolo quasi trasparente, e voglio che abbia successo.
Per fortuna con me c’è Roberto Turchetta, che mi fa da aiuto regista. Siamo complici. Questo mi da molta energia.
Sto cercando la spettacolarizzazione della semplicità estrema, e la cerco nel gesto attoriale puro, libero da strutture visive o concettuali di qualsiasi tipo.
Dall’esterno si potrebbe accusarmi di de-spettacolarizzare. Di inaridire tutto, fino all’ultimo granello possibile di teatralità.
Ma non è vero. Chi dice questo è distratto, o prevenuto.

In verità io spettacolarizzo al massimo la semplicità espressiva di un attore, e impiego tutte le mie forze nel concentrare tutti gli elementi possibili ( visivi, acustici, plastici , narrativi) su di lui, con un solo obiettivo: la festa del teatro. Cioè: la festa della recitazione. Delle sue emozioni profonde, totalmente empatiche.

Nel mio lavoro di sottrazione, io lavoro per la Festa. E non contro di essa.
La più bella festa è fatta con semplicità, senso di improvvisazione, improntitudine.
Nel mondo della cultura si fanno spesso delle finte ‘feste’ prive di divertimento. Io sono nemico di tali feste. Sono pompe funebri. Sono euforie mortuarie.
E tuttavia so che la festa del teatro è un miracolo.
Credo nel miracolo, che è fatto di niente, tranne che del crederci.
Il crederci è il primo ingrediente di un miracolo.
L’altro ingrediente è l’impossibile.
Ma quest’ultimo è un ingrediente facile da trovare.

15 OTTOBRE ‘l’anteprima’

Sono alla prova generale di Ivano. C’è un po’ di pubblico. Decido di lasciare la platea, e mi metto a gironzolare piano piano tra le quinte , sul palco. La recita di stasera è nervosa, e mi fa soffrire. E’ evidente che Ivano SENTE la generale con molta preoccupazione. E la affronta da guerriero, recitando in modo aggressivo, duro. Ci sono dei buoni momenti, si sente che è concentrato sull’eseguire bene per proteggersi dal nervosismo, ma io percepisco la sua agitazione , e so che è questa che lo manda fuori ritmo, fuori tema, fuori anima, lontano dalla leggerezza e dalla trasparenza.. Col nervosismo da prestazione un attore schiaffeggia le parole anziché lasciarle andare. E infatti adesso Ivano batte un incessante ritmo regolare, in fuga davanti a se stesso ; sembra un percussionista pieno di tamburi che batte le sue dita un po’ dappertutto , in preda a una strana febbre di esserci. Come se potesse svanire se smettesse di battere. Non me la sento di interromperlo e di andare a dirgli qualche parola che lo riconnetta alla sua grandiosa forza, alla sua calma tranquilla di grande attore: c’è un po’ di pubblico e ricordo fin troppo bene quanto mi son pentito quella volta che ho avuto la maleducazione di interrompere Spiro e Francesco alla generale con pubblico, a Gibellina. Ivano è un attore prezioso, voglio proteggerlo. È troppo bravo e troppo generoso. Ha il diritto di recitare come vuole la sua generale. Così me ne sto qui sul palco, mi sistemo in un angolino e scrivo queste pagine di diario, in diretta con la sua prima prova aperta al pubblico. Lo ascolto a occhi chiusi, mi metto ‘dentro la sua voce ‘, nel suo corpo di attore. E intanto, scrivo. Per ora: nessun miglioramento del suo stato d’animo. Mi domando: miglioramento di che? risposta: ‘del suo corpo in scena’. Ci sarà miglioramento solo se deciderà di eliminare la tensione dai suoi muscoli. Sempre più mi convinco che – arrivato a un certo punto delle prove – il grosso lavoro di un attore sia quello di gestire il suo rilassamento. L’obiettivo, da un certo punto in poi, è la CALMA. Ovvero il ralenty del pensiero, insieme a una totale rilassatezza muscolare. Un attore deve ‘testare’ continuamente il funzionamento delle sue ‘porte emotive’. E per far questo deve rilassare i suoi muscoli, neutralizzare le tensioni –tutte – del suo corpo, e sentire se DENTRO di sé, grazie a questo piccolo esercizio di relax, vibrano delle emozioni. Piccole emozioni. Al minimo. La voce delle emozioni di solito comincia piccola piccola. Per ascoltarla l’attore deve creare un silenzio dentro di sé. Non è qualcosa che si fa con il pensiero. Non c’è verso di produrlo, questo silenzio, ricorrendo a dei pensieri, a dei ragionamenti, per giusti che siano. I pensieri son fatti di parole. E mentono sempre. I pensieri sono tutti sbagliati. L’unico modo per fare silenzio è rilassare il corpo. E aspettare che arrivino delle immagini. E poi seguire QUELLE, e non i pensieri. Un attore deve pensare con le immagini, e non con le parole.

Il nervosismo attoriale – che capita a tutti, non ci sono arte o esperienza che tengano – è quasi sempre legato al problema del giudizio, che poco o tanto lavora di continuo dentro di te. Al primo incontro col pubblico può rafforzarsi molto, perché è facile far diventare il pubblico portavoce della tua sfiducia, rappresentante del tuo odio per te stesso, laggiù nel buio, senza faccia e senza occhi.

Il primo segno di nervosismo oggi l’ho visto nelle sue mani. All’apertura del sipario mi sono accorto che erano rigide, contratte. La tensione fisica (anche in un punto remoto del corpo) blocca l’accesso alle associazioni immaginarie.

Sono quelle che creano una CONCERNENZA personale, profonda, perfino inconscia, libera ed emotiva, con il testo. Il testo dice parole che in te diventano immagini, sogni, ricordi. Sono associazioni molto libere, non devono andare d’accordo ‘razionalmente’ con quello che dici. Sono molto vicine all’inconscio. Emergono di sicuro da quelle parti. Queste immagini-sensazioni sono involontarie. Non accettano di essere comandate. Tuttavia si possono creare le condizioni perché esse si manifestino liberamente e piacevolmente nella mente dell’attore mentre recita: con la calma , e il rilassamento. Quando dico Calma e Rilassamento non parlo della sua mente , ma del suo corpo. Esclusivamente del suo corpo. Un attore può anche avere dei pensieri nervosi, e contro di essi non potrà opporre nulla. Ma un attore preda di sensazioni nervose può benissimo avere controllo del suo CORPO. Questo sì. E quindi della sua voce. Del suo respiro. Dei gesti. E’ un miracolo, questo: la mente non obbedisce, ma il corpo, sì.

Fare ogni sera questo miracolo fa parte del nostro lavoro. Bisogna rifarlo ogni volta, sempre. Di questo dobbiamo occuparci prima di andare in scena. E, una volta entrati, anche durante. Mentre si recita si deve continuamente testare il rilassamento del nostro corpo.

Un attore deve sentire il suo respiro che cambia mentre si rilassa, e sentire il calore che il respiro irradia dentro di lui. In questo modo si creano delle immagini molto private, personali. Devono stare in primo piano, dentro di lui, nei suoi occhi. Deve lasciare che le emozioni racchiuse in quelle immagini, possano venire fuori liberamente. Come una popolazione liberata, che varca il confine di una fortezza, ed esce alla luce per trovare gioia e pace.

A fine prova ne parlo con lui. È una discussione serena e bellissima, perché lui è un grande artista che ‘cerca’ continuamente. La prova ha avuto molti applausi. I commenti sono ottimi. Lui si sente pronto al debutto e sa di avere nelle mani qualcosa di speciale. Però sa che non è stato ‘bene’ come nelle altre prove. Dice due frasi interessanti . Una è perfetta , ed è questa:

Ho dato retta alla tensione , e ci sono andato dietro”

Poi ci pensa un po’. E aggiunge: “ Dopo tanto tempo che reciti solo per il regista, può essere che la prima volta davanti al pubblico perdi la fiducia. Credi che il personaggio da solo smorzi l’attenzione. E allora ti ci metti tu e fai qualcosa in più. Ma il personaggio è tranquillo. Tu no. Disturbi e basta. ”

ecco. tutto qui.

16 OTTOBRE ‘la prima’

Sono di nuovo qui, in palcoscenico, nel mio angoletto sotto a un neon rivestito di blu. A pochi metri da me, Ivano sta recitando la sua Prima. Teatro pieno, non c’è un solo posto libero.

Mi sembra molto in forma. E’ calmo e coraggiosissimo. Si lancia in pause molto lunghe e spiazzanti. Ha una recitazione delicatissima, e molto musicale, e la spinge al massimo del ‘non accadimento’. Il pubblico pare un po’ sconcertato, ma di sicuro sta seguendo con rapita attenzione, e ogni tanto ride molto sonoramente. Fin troppo sonoramente : è come se volesse dire all’attore: ‘dài, facci ridere, smettila di fare il misterioso! ‘. ma Ivano tiene duro, e non concede niente. Beh, ora dico a me stesso: questo è teatro sperimentale! Cioè un attore che sperimenta le sue idee davanti al pubblico. Attenzione: ho detto le sue idee. Sembra una frase qualsiasi, ma è importante per me comprenderla bene : sue vuol dire proprio sue. Non mie.   Ma quelle che con calma, con intensità, si stanno manifestando in lui e solo in lui, senza copiare nessuno, neanche me; e sono idee ritmiche, sono immagini profonde che si ha voglia di seguire dentro a qualcosa che non è del tutto cosciente. Sono idee di tipo particolare: un attore non deve avere idee ‘prima’. Le vere idee gli vengono ‘durante’. Sono idee fisiche: provengono dal respiro, dai muscoli, dalla posizione, dallo sguardo. Sono sensazioni dentro e intorno. Sono visualizzazioni, ritmi. E ancora colori, ricordi, amnesie, sospetti, paure…ecc.. Tutto si compone (non so davvero come) come le costellazioni in cielo – cioè senza senso e senza un progetto – dentro al cielo oscuro della mente di un attore in scena, il cui ‘nero’ è tutto rilucente delle bianche lampade dei proiettori che gli inondano gli occhi e l’anima, come se fosse normale vivere lì, in quell’eccesso di attenzione, dentro a una luce enorme puntata addosso. In quel momento nel buio di un attore, nella sua mente, c’è un chiarore… c’è qualcosa di lunare. In quel momento, egli si trova esattamente nel suo mondo. Nel bene e nel male lui ‘abita’ lì. Torna ‘lì’ tutte le volte che può. Le sue idee, nascono lì. Lì c’è la sua intelligenza . In quel buio illuminato. Le sensazioni si sistemano come stelle. Formano qualcosa che noi chiamiamo idee, così come chiamiamo che so? Scorpione… Gemelli, le costellazioni, che non c’entrano niente né coi gemelli, né con gli scorpioni, così come quei lampi di sensazioni non c’entrano nulla con i pensieri e con le idee propriamente dette. Queste costellazioni creano azione. A volte solo il preludio di un azione, come note musicali. E l’attore va dietro di esse, come inseguendo una musica magica. Non ha quasi il tempo di accorgersene. Va.

Adesso Ivano è là, se ne va nella grande luce, mentre io me ne sto qui nella piccola luce, quella dei neon di servizio. Sta andando avanti benissimo. Ha un tono molto sincero e segue con dolcezza il suo personaggio, che gli regala visioni nuove. Non si è spaventato dei lunghi silenzi del pubblico (lui che è abituato a farlo ridere a crepapelle ogni minuto). Sta rinunciando a qualcosa di conosciuto, per trovare qualcos’altro. Qualcosa di più misterioso e difficile. E per nulla garantito. E’ così coraggioso che a me viene un po’ di paura. Applaudirà il pubblico, alla fine? Applaudirà in un modo tale da consolarlo delle nostre lunghe prove? Applaudirà con stupore e gratitudine? Prego che sia così. Perché non c’è altro da augurarsi, nel nostro strano mestiere, se non di far circolare nel mondo lo stupore e la gratitudine. Uno spettatore che entra in contatto con quello strano ‘se stesso’ che al posto suo parla, agisce e vive nella luce, non può che provare gratitudine e stupore per la vita stessa, la sua e quella di tutti. Dura pochi istanti. E’ una breve gratitudine, che riusciamo a percepire in quanto ha gli stessi sintomi dello stupore. Una piccola illuminazione. Ah quanto parlo sotto questo neon! Forse sto pregando: voglio con tutto me stesso che alla fine il pubblico applauda tantissimo, un applauso di ringraziamento per Baldini, per Ivano, e per me. Abbiamo fatto uno spettacolo molto malinconico e buffo, sugli ultimi momenti della vita di un vecchio mezzo matto. Di sicuro Ivano tra qualche replica comincerà pian piano a trasformarlo, e sarà in equilibrio perfetto tra il pianto e il riso. E sarà un grande successo. Ma noi abbiamo bisogno di successo OGGI, adesso.

E io? Come sto io? Ho paura? diciamo la verità: Un po’, sì. Ho paura di un’accoglienza tiepida. Di aver portato Ivano in un territorio sbagliato. Eppure ho la certezza che abbiamo fatto un grande lavoro! Che cosa cazzo me ne frega dunque della reazione del pubblico di stasera, una prima di merda in un teatro di merda? Possibile che io sia sempre qui a combattere con il bisogno di approvazione da parte di qualcuno? Chi li ha chiamati questi padri del cazzo? NON SONO figlio di queste persone! Semmai IO sono il loro padre, perché IO sto raccontando loro una storia.

Ecco, sembra strano, ma un pensiero elementare come questo, aiutato da qualche parolaccia, ha centrato il bersaglio. Ora sono calmissimo. Sono sicuro di aver fatto un buon lavoro. L’unico – comunque – che potevo. Fino in fondo. Non ho mai avuto delle scelte. L’ho fatto come si è fatto. Quasi da solo. E nell’unico modo per me. Il resto sono chiacchiere. Sabotaggi della mente.

(… mentre scrivo ascolto il finale di Ivano, ed è bellissimo…! mi commuovo nel sentirgli pronunciare il nome della serva: Cerina ! Ivano è in pieno contatto con il suo mondo e con la sua vita. La sua vita è con lui. Stasera anche la Cerina è entrata in scena. E so che non se ne andrà più)

ore 02.: annoto al volo, dopo la cena: E’ stato un grande successo. Sono felice perché la delicatezza stasera ha reso felici tante persone.

Go on.