PERSONAGGI
A teatro porta il norvegese Fosse, recita nei film di Ozpetek e Martone, sarà regista stabile dell’Eliseo Valerio Binasco: dal teatro al cinema e ritorno
di Rossella Battisti / L’Unità
Attore da Ubu (memorabile Amleto sotto la regia di Cecchi), ma anche giovane regista di talento (Il cortile di Spiro Scimone, Cara Professoressa di Ludmilla Razumovskaja), Valerio Binasco è volto noto a teatro e al cinema. In una fase di fervente attività con un paio di film in uscita e il debutto stasera all’India di Roma con E la notte canta di Jon Fosse, autore norvegese contemporaneo di culto che ha contribuito a far conoscere in Italia. Jon Fosse per il Binasco-regista è passato («Qualcuno arriverà»per lo Stabile di Genova) presente («E la notte canta») e futuro (un prossimo allestimento per il romano Eliseo).
Perché questo colpo di fulmine?
«Mi sono imbattuto in un paio di suoi testi che mi avevano mandato a casa. Jon Fosse mi attira perché parla di persone che cercano di sfuggire alla legge ineluttabile della loro infelicità. C’è una forza schematica, quasi elementare delle situazioni psicologiche alla quale sono costretti che li porta a quella che definirei una ‘mitologia minima della vita’. Trame che si snodano attraverso minuscoli accadimenti, pause, silenzi. Il tutto con una scrittura scarna, molto sorvegliata». Drammi della e nella quotidianità, ma in una drammaturgia così essenziale il compito della traduzione viene esaltato… «Graziella Perin ci ha fornito l’edizione finale e quella molto fedele, fino alla sgrammaticatura, del testo. Come traccia: in scena uso poi la musicalità personale degli attori, come Frédérique Loliée, che ha un accento francese di straordinario fascino. E mi è servita molto l’esperienza con Cecchi per Finale di partita di Beckett con prove fatte al metronomo per raggiungere quella voluta dinamica del ritmo».
Cosa ha Fosse che non trova in altri autori?
«Molte drammaturgie contemporanee sembrano ritenere il parlare un’operazione inutile, dove le parole sono solo la parodia della conversazione e del linguaggio. Fosse è più straziato: i suoi personaggi si dicono tutto, anche i pensieri più intimi senza riuscire comunque a cambiare la situazione. Trame sconsolate, in cui però c’è un fondo gioiosamente teatrale, quasi comico ed è questo che mi interessa mettere in scena: non quanto è bella o brutta la vita ma una festa del teatro attraverso i suoi ritmi e le sue trovate».
Teatro ma anche tanto cinema: è nel film in uscita di Ozpetek, «Un giorno perfetto», e nel prossimo cast di «Come eravamo» di Mario Martone…
«Ozpetek è un grande autore, senti che ha il film nel cuore e nella testa e ti affidi ciecamente. È capace di filmarmi anche mentre penso. Con Martone, invece, mi affascina affrontare il Risorgimento con occhi nuovi, senza reverenza né iconoclastia. Scoprire in Mazzini una spietata complessità, uno che nel chiuso di una stanzetta ha cambiato il destino di molte nazioni, altro che Bin Laden… E poi quei ‘terroristi’ di allora (Lo Cascio e io ne interpretiamo un paio), visti alternativamente come ribelli, patrioti, eroi…»
Binasco, lei fa parte di una generazione di artisti versatili che lavora al cinema e a teatro. Fa distinzione nel modo di recitare come Servillo, o «meticcia» come Valerio Mastandrea?
«Io ho un rapporto controverso con il cinema. Ma vengo da un teatro ‘non teatrale’ e per fare un personaggio al cinema non devo narcotizzare una parte di me. Sulla scena però mi esprimo con tutto il corpo, sul set dalla cintola in su».
Attore e regista: che tipo di teatro privilegia?
«Detesto il teatro di regia. Il regista deve lavorare per l’attore. Io ho iniziato per puro dilettantismo, volevo creare un concertato per dare al pubblico forti emozioni teatrali, anche inedite».
Per tre anni sarà regista stabile del teatro Eliseo. Cosa ha in mente?
«È una proposta di Massimo Monaci: io regista-attore e lui direttore artistico. Mi dà la possibilità di creare nel tempo un percorso artistico in un’importante realtà teatrale privata. Sarò tenuto a fare spettacoli per spettatori non garantiti e mi piace la sfida di non sottrarmi alla tradizione, invece di godere dell’interesse di nicchia. Insomma, vorrei seguire le orme di Cecchi con Tartufo e di Servillo con la Trilogia goldoniana».
13 Maggio 2008 pubblicato nell’edizione Nazionale nella sezione “Spettacoli“